mercoledì 15 agosto 2012

Partenze, restanze e tornanze



A Ferragosto comincia il loro conto alla rovescia. Stanno ancora al mare (che ha tratti sporchi e conche d’incanto), o in montagna (con boschi bruciati e floridi alberi secolari), nelle campagne (quest’anno arse fino ad una quasi carestia di verdure, di frutta, di mais ecc. cui nessuno, coltivatori a parte, sembra accorgersi), nelle città (con tutte le loro caratteristiche, positive e meno). Ma le loro valigie sono quasi pronte per riaffrontare ferrovie, aeroporti o autostrada.

“… il contrasto, l’antinomia non è fra viandante (o erranza) e ma piuttosto fra sguardo consapevole e superficialità, fra interrogazione e conformismo. E c’è un’amarezza, e un sentimento del tempo e dell’assenza, uno spaesamento che accomuna i calabresi che sono andati e quelli che sono rimasti”. Così Franco Dionesalvi, lo scorso anno, parlando di Pietre di pane, in cui, analizzando a fondo “l’antropologia del restare”, Vito Teti scrive che “l’avventura del restare, quindi l’etica della restanza non è meno decisiva e fondante dell’avventura dell’andare, non rappresenta l’immobilità. Restare è la forma estrema del viaggiare, è un’arte, un’invenzione; un esercizio che mette in crisi le retoriche delle identità locali. Le due avventure non sono antitetiche ma complementari, vanno colte e narrate insieme”.

Ma non sono solo due le categorie dell’anima calabrese, la partenza e la restanza. Ce n’è una terza, la tornanza. Ovvero quelli che sono partiti ma, ad ogni occasione, soprattutto in estate, quando la pausa delle vacanze è lunga, tornano. E che, a settembre, per esempio, quando i colleghi di lavoro fanno a gara a raccontare il viaggio più esotico o più intelligente o più avventuroso (meglio facevano, vista la crisi che ha limitato le vacanze della maggioranza degli italiani), non hanno nulla da dire se non “sono stato a casa”. C’è chi torna perché in qualche modo mosso/costretto dagli affetti e dai vincoli familiari, chi per comodità (nella casa dei parenti si mangia bene e non si paga nulla), chi perché, oltre un certo numero di mesi, non regge a non respirare la sua aria. I più, sapendo che la tornanza è fatta di pochi giorni che passano rapidi ma di cui non si può fare a meno, perché danno ossigeno ai lunghi mesi di distanza. Chi sperando, magari senza dirselo, di tornare, un giorno o l’altro: davvero o, se proprio non sarà possibile, che per qualche miracolo o per quella creatività che talvolta reinventa la storia, che ci torni un figlio o un nipote, magari un pronipote. Chi forse chiedendosi se, anche loro, quelli della tornanza, possono fare qualcosa – che cosa? – per una terra che, comunque, nonostante, tuttavia, resta nell’orizzonte profondo del loro sguardo.

Pubblicato su Zoomsud col titolo Il Ferragosto di quelli della "tornanza"  http://www.zoomsud.it/commenti/38067-il-ferragosto-di-quelli-della-qtornanzaq.html


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