martedì 1 settembre 2020

Perrin, Dara e il ritorno alla letteratura sepolcrale

 


Quando posso, vado al cimitero, ripulisco la tomba di mio padre, visito quelle di alcuni parenti e amici.

Mi piace il cimitero del mio paese, su una collinetta che guarda la costa, il mare stamattina blu, l’Etna fascinosa. Mi piace sapere che avrò questa natura intorno – il vento, la luce della mia terra – quando sarò in una di queste tombe.

È un cimitero pulito, ordinato. Merito, anche, della guardiana: una gentile signora sempre impegnata a ripulire, a dare decoro al luogo.

Ho fatto, a piedi, la salita, tra fichi d’india e olive, ripensando a due libri, letti ultimamente, che hanno come protagonisti due guardiani di cimitero: quello di Valerie Perrin, Cambiare l’acqua ai fiori, edito ad E/0 e l’ultimo di Domenico Dara, Malinverno, appena pubblicato da Feltrinelli.

 


 

Il primo è un testo gradevole, che risulterebbe decisamente migliore se fosse ridotto di almeno un terzo (di più, sarebbe anche meglio). Vi domina, nonostante la morte e tutte le fratture e disperazioni che essa comporta, il bisogno (o il sogno più volte ripetuto) di “ricomporre” l’esistenza, di sperimentare un’armonia che, colmando di vita, dia senso anche alla sua fine.

Il libro di Dara, grande omaggio ai libri di ogni tempo, è scritto molto bene. La padronanza dello stile (Dara si conferma tra gli autori calabresi che possono rivolgersi ad un pubblico internazionale) fa sì che non cada nell’horror, nel grottesco, nel comico dove un autore di minore talento rischierebbe in una simile trattazione e resti come sospeso in una sorta di dimensione onirica e/o magica. È stata una lettura piacevole, quindi, che mi ha lasciato, irrisolta, una domanda.

Se, in un’opera letteraria, a decidere è lo stile, non ha, però, poca importanza lo sguardo dell’autore, la sua visione. Qual è la visione che Dara dà in questo testo? La vita vale meno del suo racconto? La morte ha una vitalità più alta della vita? La vita è tollerabile solo quando da persona si passa a personaggio letterario?

 

P.S. C’è, poi, una domanda più generale: perché tanto ritorno ad una narrativa sepolcrale? (N.B.: Amo il Foscolo dei Sepolcri)

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