sabato 5 aprile 2014

Racconto: Il ponte degli zingari






C’era un ponte vicino all’aeroporto. Anzi, il ponte, doveva esserci ancora, solo che non lo passava più da anni perché, anche quando tornava dov’era nata, la superstrada, pur con svincoli assurdi, consentiva di raggiungere il suo paese da Reggio e viceversa senza più fare il vecchio percorso.

Per tutto il tempo della scuola superiore, quel ponte era stato una spina che la pungeva soprattutto prima di addormentarsi e, ancora di più, nella notti di pioggia, quando le pareva di sentire nelle ossa lo stesso freddo che doveva colpire quei bambini.

Sotto il ponte c’era un accampamento di zingari, con gli uomini dalle facce color mattone olivastro – ma c’erano mattoni dalle tonalità d’olive? – le donne grasse, con le gonne lunghe e i fazzolettoni in testa e i grembiuli sulle pance gonfie anche quando non aspettavano altri figli. E bambini, decine e decine di bambini dalle magliette slabbrate e, spesso, senza pantaloncini, a piedi nudi nella fiumara.

Lei, avrebbe voluto fare qualcosa per loro. Che cosa, non lo sapeva. Né, in ogni caso, avrebbe potuto. Perché era una brava ragazza: la casa, la scuola e la chiesa, nessuno le avrebbe consentito di uscire fuori dal quel triangolo, né lei stessa sapeva e, forse, voleva uscirne.

La sua unica libertà era che, la domenica, poteva prendere un pullman e andare a messa in una bella chiesa sul Corso grande della città. C’era un parroco dalla bella faccia sorridente, che aveva un modo di predicare che le faceva battere il cuore. Come se tutti i sensi di dovere e di colpa che anni di monache le avevano impresso sulla carne si potessero aprire in respiri di libertà.

Fu in quella chiesa che conobbe una zingara che sotto quel ponte, se si può usare questo termine, abitava. Forse – non è che ricordasse proprio bene – era stato proprio il prete che, confessandola, gliela aveva indicata come una possibilità, per lei, di fare qualcosa di utile.

La zingara aveva con sé un bambino che, di nascosto dal marito, voleva battezzare ed era stata lei, qualche settimana dopo, a fare da madrina. Mettendo mano a tutti i suoi risparmi e con una serie di sotterfugi, era riuscita a comprare una catenina d’oro da mettergli al collo.

Non l’aveva rivisto più. Cosa che le dispiaceva un po’. Ma le sarebbe dispiaciuto di più vederlo, perché non le pareva di sapere né cosa fare né cosa dire. Il prete, con una punta di durezza nella sua bonarietà, usò qualche frase per dirle che non era quello che s’aspettava da lei.
Lei ascoltò in silenzio.

E, nel tempo, aveva intrecciato anche quel tumulto di pena ai tanti che le offuscavano il senso di sé.

Con il titolo Il racconto: La ragazza e il ponte degli zingari  questo è il mio ultimo racconto pubblicato su Zoomsud: http://www.zoomsud.it/index.php/commenti/66396-il-racconto-la-ragazza-e-il-ponte-degli-zingari.html

Su Zoomsud sono stati pubblicati anche un mio intervento a proposito di un articolo di Marina Terragni: Marina Terragni, le elezioni e il ballo delle donne

e una recensione del libro Cola Ierofani. Amori e politica nel secolo breve:





Nessun commento:

Posta un commento