C’era un ponte vicino
all’aeroporto. Anzi, il ponte, doveva esserci ancora, solo che non lo passava
più da anni perché, anche quando tornava dov’era nata, la superstrada, pur con
svincoli assurdi, consentiva di raggiungere il suo paese da Reggio e viceversa
senza più fare il vecchio percorso.
Per tutto il tempo della
scuola superiore, quel ponte era stato una spina che la pungeva soprattutto
prima di addormentarsi e, ancora di più, nella notti di pioggia, quando le
pareva di sentire nelle ossa lo stesso freddo che doveva colpire quei bambini.
Sotto il ponte c’era un
accampamento di zingari, con gli uomini dalle facce color mattone olivastro –
ma c’erano mattoni dalle tonalità d’olive? – le donne grasse, con le gonne
lunghe e i fazzolettoni in testa e i grembiuli sulle pance gonfie anche quando non
aspettavano altri figli. E bambini, decine e decine di bambini dalle magliette
slabbrate e, spesso, senza pantaloncini, a piedi nudi nella fiumara.
Lei, avrebbe voluto fare
qualcosa per loro. Che cosa, non lo sapeva. Né, in ogni caso, avrebbe potuto. Perché
era una brava ragazza: la casa, la scuola e la chiesa, nessuno le avrebbe
consentito di uscire fuori dal quel triangolo, né lei stessa sapeva e, forse,
voleva uscirne.
La sua unica libertà era
che, la domenica, poteva prendere un pullman e andare a messa in una bella
chiesa sul Corso grande della città. C’era un parroco dalla bella faccia
sorridente, che aveva un modo di predicare che le faceva battere il cuore. Come
se tutti i sensi di dovere e di colpa che anni di monache le avevano impresso
sulla carne si potessero aprire in respiri di libertà.
Fu in quella chiesa che
conobbe una zingara che sotto quel ponte, se si può usare questo termine,
abitava. Forse – non è che ricordasse proprio bene – era stato proprio il prete
che, confessandola, gliela aveva indicata come una possibilità, per lei, di
fare qualcosa di utile.
La zingara aveva con sé un
bambino che, di nascosto dal marito, voleva battezzare ed era stata lei,
qualche settimana dopo, a fare da madrina. Mettendo mano a tutti i suoi
risparmi e con una serie di sotterfugi, era riuscita a comprare una catenina
d’oro da mettergli al collo.
Non l’aveva rivisto più.
Cosa che le dispiaceva un po’. Ma le sarebbe dispiaciuto di più vederlo, perché
non le pareva di sapere né cosa fare né cosa dire. Il prete, con una punta di
durezza nella sua bonarietà, usò qualche frase per dirle che non era quello che
s’aspettava da lei.
Lei ascoltò in silenzio.
E, nel tempo, aveva
intrecciato anche quel tumulto di pena ai tanti che le offuscavano il senso di
sé.
Con il titolo Il racconto: La ragazza e il ponte degli
zingari questo è il mio ultimo
racconto pubblicato su Zoomsud: http://www.zoomsud.it/index.php/commenti/66396-il-racconto-la-ragazza-e-il-ponte-degli-zingari.html
Su Zoomsud sono stati
pubblicati anche un mio intervento a proposito di un articolo di Marina
Terragni: Marina Terragni, le elezioni e
il ballo delle donne
e una recensione del libro Cola Ierofani. Amori e politica nel secolo
breve:
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