sabato 5 aprile 2014

I libri e il dolore






Ad una presentazione, la relatrice ripete, con convinzione, che il libro di cui sta parlando “va letto in tutte le scuole di ogni ordine e grado”.

Tralascio l’ovvia domanda che pure mi s’affaccia – ammesso che ne esistano, quali e quanti saranno mai i libri da far leggere in tutte, dicasi: tutte, le aule scolastiche dalle elementari al diploma – per soffermarmi sull’impatto che l’esperienza di dolore estremo vissuta da chi scrive può avere su chi legge.

Perché, se si legge un libro in cui una madre racconta della figlia morta ragazzina e in casi consimili (anche di un mio scritto su un ragazzo troppo presto scomparso è stata scritta una frase così), il testo – al di là del valore letterario – “fa tremare il cuore”?

Forse perché il dolore è l’unico sentimento davvero universale degli uomini. C’è chi non ha avuto né avrà una gioia; chi conosce amore ed amori e chi ne è privo; chi viaggia e chi non lo fa; ma tutti sappiamo (anche se, magari, proviamo in diversi modi a dimenticare) che malattia, dolore e morte sono sempre, in ogni momento, potenzialmente sulla nostra testa e, cosa ancora peggiore, possono colpire le persone noi più care. 

Il dolore degli altri rimanda al dolore che ognuno ha vissuto o teme (che ci pensi chiaramente o no) di poter vivere un giorno o l’altro.

Ma, ancora di più, vale un altro sentimento. Chi racconta un dolore assoluto, per quanto sia e appaia ferito, atterrato, distrutto, dimostra, celebrando la vita del morto/a, che le ragioni della vita sono più forti di quelli della morte: che la vita, anche frantumata, chiama vita.

E il fatto di vivere anche con le ali spezzate è un elemento che commuove. Dà un brivido a chi le ali ce l’ha ancora. Gli fa avvertire, nelle fibre del corpo e dell’anima, per quanto magari inconsapevolmente e solo qualche istante, che la propria vita, per quanto banale e anonima, è una ricchezza incommensurabile.

Non può, l’eventuale lettore, che esserne grato (anche se, di nuovo, non necessariamente in maniera consapevole) a chi glielo ricorda.

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