giovedì 13 maggio 2021

Qualche domanda sulla narrativa meridionale

 


“Maso Barrese, il macellaio, aveva messo in conto di non lasciare un buon ricordo nella storia, godeva della propria crudeltà, il pane della sua sopravvivenza, sapeva che di lui sarebbe rimasta quella. Insieme ai suoi mercenari albanesi spense le rivolte angioine e ridiede solidità al dominio aragonese. Non sapeva che la sua stirpe padrona avrebbe messo fuori dalla storia il Sud, lo avrebbe reso irredimibile, condannandolo alla narrazione del pianto, alla litania del vinto. Gli aragonesi figliarono Verga, i letterati si dedicarono al resoconto e nacquero gli scriba; altro sarebbe stato il destino, quantomeno letterario, con gli angioini: la fantasia, la visione, avrebbero fermato la deriva di un popolo, l’avrebbero tenuto dentro la storia, e nel grembo della redenzione e del riscatto. Giuseppe Lupo, La storia senza redenzione, (Rubbettino, 2021), prova a immaginare una letteratura, e un Sud, con una matrice diversa, senza Verga e il verismo: analizza due secoli di storia letteraria.” Così Gioacchino Criaco in un’interessantissima recensione del libro di Giuseppe Lupo.

Libro che io non ho, per ora, letto e nel cui merito, quindi, non ho nulla da dire. Mi faccio, però, alcune domande a latere:

Sarà certamente una mia ignoranza, ma, mentre il discorso su “Letteratura e Sud”, comunque declinato, l’ho già ascoltato non poche volte, non mi pare di aver sentito mai dibattere di “Letteratura e Nord”. Perché? Perché la narrativa prodotta a Sud è più legata alle condizioni ambientali-sociali del territorio tanto che i testi sembrano o possono sembrare attraversati da una linea comune? Perché meridionale è una sorta di marchio, che ne definisce e precisa le caratteristiche? Perché la narrativa meridionale ha fissato nell'immaginario collettivo un certo tipo di realtà (vera o falsa che sia)?

Ma quel termine – meridionale – non rischia di diventare la medaglia al petto di una diversità, che, in fondo, diventa un’inferiorità? Quale scrittore davvero grande, anche se scrive di un piccolissimo luogo isolato della periferia più periferica del mondo, non trascende quella realtà, facendone narrazione per tutti?

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Qualche settimana fa una scrittrice calabrese, Giusy Staropoli Calafati, ha fatto girare sul web un suo appello affinché la regione Calabria stimoli alla lettura, nelle scuole, degli autori calabresi. Hanno firmato l’appello in tantissimi, qualcuno sostenendo anche che, così, si potrebbe dare un po’ di ossigeno a piccole case editrici locali. Non dubito che ci debba essere spazio, in ogni territorio, per quanto di meglio il territorio stesso produce: vale anche per la narrativa. Ma non vorrei che nel “canone letterario” si entrasse in quanto calabresi, marchigiani o trentini, ma in quanto in grado di raccontare – e molto bene – storie, vere, immaginarie, o comunque esse siano.

Ci sono autori meridionali che non vengono studiati e invece lo meriterebbero? Certamente sì. (Un nome a caso: Strati). Come ci sono donne che non vengono studiate e lo meriterebbero. (Un nome a caso: Maria Bellonci). Ma non sarebbe il momento di iniziare a studiarli/e in quanto grandi autori/autrici e non in quanto meridionali o donne?

 

Ripreso su Zoomsud:

http://www.zoomsud.it/index.php/cultura/108046-qualche-domanda-sulla-narrativa-meridionale

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