Il ragazzo che torna al
suo banco dopo aver fatto la comunione – nella celebrazione prenatalizia che
vede, nella cappella di Nisida, insieme ragazzi, operatori e magistrati – è la
mia immagine per questo Natale.
Il suo passato è un
groviglio di dolori e di errori; nel suo futuro, la libertà è lontana. E il suo
presente è la lontananza dagli affetti più cari, la consapevolezza d’aver
rovinato una parte della sua vita e una sorta di gratitudine d’aver trovato, a
Nisida, un carcere più umano di quello prima sperimentato.
Concentrato in se stesso,
tiene il capo chino.
È solo, ma non abbandonato.
Ferito, ma vivo.
Angustiato, ma non
disperato.
Potrebbe dire di sé, come
in altre circostanze Camus: “Ho compreso, infine, che nel mezzo dell'inverno vi
era in me un'invincibile estate.”
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