Ti piace il presepe?
Quante volte lo chiedesse a
me, Luca Cupiello, avrebbe sempre come risposta “Sì”.
Mi piacciono, soprattutto,
quelli, piccoli o grandi, semplici o complessi, che riescono a restituire lo stupore sacro della Notte santa. Tutto il
mondo, persone, animali e cose, che attendono alla propria quotidianità, L’oste
con i suoi avventori, la lavandaia con la sua cesta dei passi, il carrettiere
che tira le redini, le pecore che brucano, le galline nell’aia, il laghetto
calmo, il muschio, il brecciolino, le stelle Come se nulla fosse. Ci sono, ma non sanno veramente, anche se un
fremito, come un lampo nel buio, coglie anche loro della luce che proviene da
una piccola capanna. Dove si concentrano gli unici – la madre, il padre, il
bue, l’asinello, i pastori con le loro pecore, gli angeli, la stella cometa e i
magi – che sanno o per lo meno intuiscono che sta accadendo qualcosa. Che taglia la storia e
interpella la coscienza, ponendo di fronte alla scelta di credere o no in un
Dio che si fa bambino per venire in mezzo
a noi.
Simbolo fortemente cristiano,
il presepe. Più dolce, quieto e tenero, della croce. E facilmente amabile anche
da chi non si riconosce minimamente in un crocefisso, perché segno assolutamente
umano, in cui chiunque, nel Bambino,
può ritrovare se stesso bambino, i propri figli, ogni figlio di questa terra.
E mondo bellissimo, il
presepe, per un bambino, che costruendolo, può ricostruire il mondo in cui vive
– dove, magari, pastori e lavandaie sono stati sostituiti da programmatori di
computer e astrofisiche e si vedono meno animali di macchine – interiorizzando
due punti che il presepe esprime più di ogni altra cosa: che il mondo intero attende
la nascita di un Bambino e che, di conseguenza, vivere è una grande avventura,
piena di senso, in cui si può amare ed essere amati e che c’è sempre un bambino
escluso che la società deve accogliere.
Che ogni anno, da un po’ di
anni, si ripeta la storia delle scuole che non fanno il presepe per non offendere
chi cristiano non è – al contrario, è il segno brutto di una società che,
pare, non sappia più riconoscere la propria storia, la propria cultura, il
valore supremo dello stupore del bello e
buono.
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