mercoledì 12 gennaio 2022

La Pellarese/ Cunti al tempo del covid

 


Vegnu ‘n atru pocu chi ‘tte cuntari ‘na cosa.

Cònsola sta riscendendo un vallone accompagnata dall’abbaiare dei cani di guardia nelle poche case sparse qui e là, nell’aria la scia della zagara già in fiore. Si ferma a inviare un messaggio ad un’amica.

Pensa che, a differenza della lingua – che rafforza con “ra” il “conto” per passare dai numeri alla narrazione – il dialetto calabrese usa “cuntu” sia per enumerare oggetti, alberi, soldi ecc. sia per il “racconto”.

E le sembra di cogliere una pietruzza di verità. Che ci sono cunti che diventano esercizi di decifrazione del reale. Tentativi di dare forma al caos, di trovare le parole giuste, e, quindi, senso e limiti al magma emozionale, ordine al flusso di eventi confusi: è il carsico (o l’aspromontano?) sedimentarsi, nell’inquieta quotidianità, di un po’ di saggezza.

Si siedono al sole, lei e l’amica, a dipanare – con l’olio di gomito di grammatica e sintassi – gli ingarbugliati grovigli relazionali del tempo del covid.

Un giorno lo studieranno questo tempo – dice Cònsola – ma, intanto, a noi tocca viverlo.

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