lunedì 14 giugno 2021

Storie d'un'estate nuova: Cenere nera

 


Ti ho intravisto, ieri, da lontano. Eri in fila, davanti alla macelleria, ed io passavo in macchina – ero andata alla posta a spedire un pacco a Londra, a mio figlio. Mi sei sembrata pallida, stanca. E ho provato un subitaneo moto di pena per te, che mi ha lasciato turbata per ore. Abbiamo frequentato le stesse scuole – alle elementari anche la stessa classe – poi tu sei andata via. L’università a Milano, il lavoro da giornalista nella capitale. Ho letto molti tuoi articoli: informazioni precise, linguaggio limpido: sei sempre stata brava. Tornavi di tanto in tanto, curata senza eccessi, cortese, riservata. Scambiavamo qualche parola a mare, tu sempre di fretta. Sapevo che non t’eri sposata, viaggiavi molto, frequentavi gente con cui è una ricchezza conversare. Ti immaginavo libera, soddisfatta di te. Talvolta, ti ho invidiato. La mia, è stata una vita non so se più quieta o più povera. Non ho mai lasciato il paese; ho insegnato poco lontano da qui; e, dopo che sono rimasta vedova, sono tornata a vivere nella casa dei miei genitori. Li ho curati entrambi fino alla morte. Ho pensato poi, più d’una volta, d’andare via anch’io, di fare le tante cose che non avevo mai fatto. Ma sono rimasta.

A pensarci, ho provato pena per te perché la provo per me. È come se improvvisamente avessi intuito che, al contrario di quanto per anni ho pensato, siamo più uguali che diverse. Entrambe rose dal senso di colpa: tu d’essere andata via – perché mai, se no, saresti tornata, ora che sei in pensione e non c’è più nessuno della tua famiglia vivo? – io d’essere rimasta: con lo stigma, tutte e due, d’aver perso troppo. Sole, senza possibile rimedio perché senza futuro.

Mi sono immersa in questi pensieri fino a farmi venire mal di testa. Il dolore mi ha fatto assopire sulla sedia. Mi sono svegliata a notte fonda. Avevo bisogno d’aria. Sono salita in terrazza. Le poche lampadine lasciavano in gran parte al buio le case davanti alla mia. Scorgevo la tua con difficoltà. Al di là del mare, rosseggiavano i bagliori dell’Etna scossa da uno di quei parossismi che, in questi mesi, hanno fatto arrivare anche da noi cenere nera. Mi sono venute le lacrime agli occhi per tanto spreco di bellezza. E mi è serpeggiato come un desiderio di scrollarmi di dosso la malinconia che sempre mi ha accompagnato e che la pandemia ha acuito.

La prossima volta che ti incontro, mi fermo: “Ciao, Anna. Mi riconosci? Sono Angela”. Chissà se, rivedendomi, proverai per me un senso di pena, lo stesso che – ci metto le mani sul fuoco – provi per te. Se ci riconoscessimo uguali potremmo, forse, darci una mano per affrontare il presente. Scambiarci opinioni, fare insieme qualche passeggiata, preparare una pizza. Trovare parole comuni, che aprano crepe nel muro della solitudine. Quello che ho capito stanotte è che voglio arrivare alla fine senza disperazione.

 

 

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