In una giornata che ricorda uno dei grandi eroi
del nostro recente passato, l’Italia si avvia ad un governo no Tav, no Triv, no Tap, no Ilva, no Mose,
no Vax, no Europa, no Jobs Act, no Fornero, no Austerity, no Ogm, no Olimpiadi,
no termovalorizzatori, no alla democrazia rappresentativa, no alla cultura
liberale (definizione di Claudio Cerasa).
È il governo che il Paese ha (democraticamente) votato
(e non dissimile da quello che voterebbe nel caso di elezioni anticipate),
frutto degli errori (non pochi, insieme a non poche scelte positive) di chi al
governo c’era prima e di un’aria che tira fatta di problemi e bisogni ma
anche di rancori, risentimenti, paure, volgarità e ignoranza (non lontana, in
taluni casi, da un vero e proprio analfabetismo funzionale) che si
autoalimentano da anni (vedi tv; vedi social) e da cui, al momento, non si vede
alcuna possibile fuoruscita.
Il Pd (ed è cosa molto grave) non sembra, al momento, in grado
di fare adeguatamente quello che un partito che contiene in sé le lunghe tradizioni di Dc e
PCI dovrebbe naturalmente fare:
unirsi in un’opposizione ferma, che riporti nella politica le ragioni della ragione.
Rispetto a tanti momenti difficili della nostra
storia recente, il paese, contento o sopraffatto, non reagisce. Anche se ci sono e ci saranno certo
tante resistenze di chi, nel suo
quotidiano, sosterrà (continuerà a sostenere) le ragioni migliori di un
riformismo, capace di fare i conti con il presente e costruire il futuro, di
contro ad un cambiamento che ha i
tratti della restaurazione.
Ma sarà un’opposizione debole: se non troverà un fulcro (un partito solido e unito) che costituisca il
nerbo di una ricostruzione dell’anima stessa del paese.
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