«Ho i capelli lunghi, lisci, castano chiaro che
mi scendono giù fino alla vita, pelle chiara, il volto di un palinsesto di
fuoco. Un naso troppo piccolo e occhi troppo grandi. Orecchie: niente di
eccezionale. Altezza più o meno nella media… aspiro alla medietà.»
Eleanor Oliphant, trentenne, vive sola. Lavora (è
una contabile molto coscienziosa), ma non ha vita sociale, nessun amico,
nessuna attività oltre il lavoro. Non se ne lamenta, anzi ne è orgogliosa. Organizza
la sua quotidianità in maniera meticolosa: l’acquisto di cibi (“mangime
alimentare”), i programmi della radio, la telefonata settimanale con la madre,
i fine settimana passati nel quieto obnubilamento (non ubriachezza) di qualche
bottiglia di vodka, la cura di una pianta.
Diffidente, eccentrica, parla poco, ma, spesso,
lo fa senza alcuna mediazione rispetto alla situazione o agli interlocutori con
effetti involontariamente ridicoli, mantenendo sempre, però, una inattaccabile dignità.
«Sono sempre stata orgogliosa di cavarmela da
sola nella vita. Sono l’unica sopravvissuta, sono Eleanor Oliphant. Non ho
bisogno di nessun altro: non c’è una grande voragine nella mia esistenza, nel
mio puzzle privato non manca alcun tassello. Sono un’entità autosufficiente. O
almeno è quello che mi sono sempre detta. Ma l’altra sera ho trovato l’amore
della mia vita. Quando è entrato in scena, l’ho capito e basta.»
Eleanor si prepara all’incontro con il musicista
che, pensa, sarà l’uomo della vita: «Dovevo trasformarmi dall’interno verso l’esterno
o lavorare dall’esterno verso l’interno? Compilai a mente una lista di tutte le
modifiche relative all’aspetto fisico che avrei dovuto apportare: i capelli, i
peli del corpo, le unghie (delle mani e dei piedi), le sopracciglia, la
cellulite, i denti, le cicatrici… tutte queste cose dovevano essere aggiornate,
valorizzate, migliorate.»
Scoprirà che la realtà è cosa diversa dall’immaginazione,
ma non sarà più sola: nel frattempo, ha trovato un amico premuroso in Raymond,
un tecnico di computer, collega di lavoro, e le sedute con una psicologa le consentono
di liberarsi di un passato doloroso e, con esso, delle ferite che le aveva
lasciato nel corpo e nell’anima.
Eleanor
Oliphant sta benissimo di Gail Honeyman, pubblicato da Garzanti, caso
editoriale dell’anno, è un libro profondamente austeniano. Non per la tematica –
la solitudine spersonalizzata, vissuta come una scelta ma motivata da un
difficile retroterra (parole dell’autrice in un’intervista) – ma per la
luminosità di una narrazione lieve e profonda, seria e ironica, che sembra
abbracciare il lettore, tenergli compagnia nell’anima.
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