martedì 16 maggio 2017

Microstorie: Giulia







 Ad Andrea, Valentina, Antonio e a tutti i ragazzi dell'IC Cassiodoro-don Bosco

Domi, lo conosco da due mesi. Mio fratello Alfredo un giorno se n’è tornato da scuola con un racconto da imparare a memoria. Lo doveva recitare al secondo incontro con l’autore del progetto lettura e mi ha chiesto di stare a sentirlo.  Alfredo sta in seconda media – io frequento la prima – e, anche se lui dice che siamo bravi uguali, la più brava sono io. Mi supera, di poco, solo in matematica e nel fare i compiti è più veloce di me, ma io sono più attenta e precisa. Di pomeriggio, due volte la settimana, faccio danza. Lui vorrebbe fare nuoto, ma la piscina non c’è. Va forte in bicicletta, fa il centravanti nella squadra della parrocchia e sa fare il cappio per tirare le lucertole al sole. Ci litigo sempre per questa cosa brutta, ma poi ci passo sopra: è così buffo con la frangetta troppo lunga che allontana dall’occhio sinistro soffiando a gote piene.

Abbiamo una stanza in comune, con due copriletto uguali, gialli, il suo stampato a macchine, il mio a gatti. Alla sua parete, ci ha messo poster di calciatori. Sulla mia, c’è il mio nome, Giulia, scritto con fiori di carta, ma sembrano seta, di tanti colori. La nostra casa sta nella piazza della stazione di Pellaro che, poi, è una stazione strana perché i treni, pochi, passano, ma non se ne ferma quasi nessuno. 

Mia mamma fa l’infermiera all’ospedale a Reggio, sta nel reparto maternità e porta spesso confetti rosa o azzurri, che in famiglia non piacciono a nessuno: perciò li raccoglie e li dà a Tota, quando viene a fare qualche pulizia straordinaria.

Mio padre è carabiniere e, per andare in caserma, deve fare solo pochi passi a piedi. I genitori di mio padre stanno a Catanzaro e ci vediamo di tanto in tanto, quelli di mia madre stanno nella salita della scuola elementare e li vedo tutti i giorni. Anzi, li vedevo, adesso mio padre non vuole che stiamo sempre là. Il fatto è che la sorella del marito di zia Lucia (zia Lucia è la sorella di mia madre), s’era fidanzata con un tipo del Ribergo. A mio padre non è mai piaciuto, ma tutti gli altri dicevano: è un lavoratore, ha il mestiere in mano e una casa di proprietà, finalmente Antonietta si sistema, che non è neppure tanto giovane. Avevano quasi deciso la data delle nozze, quando Saverio è stato arrestato per associazione ‘ndranghetista. Deve farsi più di dieci anni di carcere. Antonietta certi giorni sembra tranquilla e dice che l’aspetterà e certi altri non dice niente, ma le si scuriscono gli occhi e le labbra sembrano affondare nei denti.

Domi è il protagonista del racconto. Non assomiglia né a me né a mio fratello, eppure, mentre mio fratello ripeteva, mi è sembrato di ascoltare qualcosa di me. L’ho riletto tante volte e sono voluta andare anche all’incontro con l’autore, un signore con pochi capelli e la barba quasi bianca, ma la voce e gli occhi giovani.

E, allora, ho capito perché m’ha tanto impressionato. È che tutte le storie che ho letto finora – e a me i libri piacciono e ne leggo pure tanti – sono ambientate lontano, in paesi stranieri, oppure in Italia, ma non nella mia regione e tantomeno nel mio quartiere. M’ero convinta che, dove abitiamo noi, non ci sono storie abbastanza interessanti da metterle in un libro e che è per questo che, forse davvero, siamo un po’ inferiori.

Da quando Domi è diventato mio amico, ho tirato fuori un quaderno di quelli doppi e ho cominciato ad appuntare tutte le storie del paese di cui sento parlare. Ce ne sono tante. Non manca proprio niente: gialli, horror, storie d’amore e d’avventura. A metterle tutte nei libri, queste storie speciali, non basterebbe neppure una biblioteca (che non c’è).

E, poi, ci sono tante piccole storie normali. Come quella di Domi. Come la mia. Che basta scriverle per non perderle più.

Nessun commento:

Posta un commento