martedì 4 aprile 2017

Il coraggio di un alfabeto nuovo







“…la violenza di cui sono veramente stanco … di battaglie ne ho abbastanza…Sono ancora in cerca della pace…”

Quasi un senso di vertigine.

Mi capita ogni volta che un ragazzo – soprattutto quando evita di farsi troppo vedere dai compagni – mi porge qualche foglietto di carta un po’ raffazzonato (magari uno da quadernone e due da quaderno, due righe e due a quadretti) su cui, dice, ho scritto qualcosa che mi chiede di leggere.

Non, naturalmente, un compito non concluso in classe e poi finito rubando qualche ora alla tv o alla conversazione con i compagni: in questo caso, ci tiene a farsi vedere da tutti. Ma qualcosa, di autentico, di sé.

Qualcosa che, magari, è già difficile pensare e dire a se stesso. Ma ancora più difficile è provare a scriverlo alla tua insegnante (che, per età, possa essere ampiamente nonna rende la cosa più facile o più difficile?). 

E che vuol dire accettare che la pagina scritta possa diventare una forma di comunicazione silenziosa. Qualcosa di molto diverso dal mutismo o dalla chiacchiera. Un dire che non vuole nascondere o falsificare. Piuttosto tende alla verità: nei limiti in cui la si coglie e la si riesce ad esprimere. Con tutte le lacerazioni, le rabbie, le ferite aperte di una giovinezza prigioniera ancora prima di essere imprigionata.

Come se chi scrive si fermasse davanti ad uno specchio, si guardasse con attenzione, si scrutasse occhi, capelli, fronte, labbra, prendesse coscienza di essere proprio lui: Gennaro, Marco o Giuseppe: con la propria fragilità e la propria forza, le proprie chiarezze e tutto il turbine caotico dei propri pensieri, sentimenti, desideri, attese.

E dall’adulto-specchio si aspettasse niente di più che un cenno, una frase, un sorriso che lo rafforzi o lo sconfermi in questo suo, inquieto e vitale, coraggioso articolare un alfabeto nuovo. Di una lingua non più, in un modo o in un altro, imposta dall’esterno, ma quella libera in cui ci si può identificare e trovare pace.

1 commento:

  1. Quello che hai raccontato, Maria, è davvero molto bello e conferma che il tuo durissimo lavoro non è vano. Anzi.

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