mercoledì 15 marzo 2017

Il ragazzo cattivo di Kate Summerscale







«Nelle prime ore di lunedì 8 luglio 1895 Robert e Nathaniel Coombes si vestirono, scesero di sotto a prendere il libretto dell’affitto e uscirono nel cortile posteriore. Erano appena passate le sei ma la giornata era già calda e luminosa. Robert aveva tredici anni e Nattie dodici. Venerdì il padre, capo cambusiere, si era imbarcato su un piroscafo diretto a New York lasciandoli a casa insieme alla madre, Emily. Abitavano in una casetta a schiera in mattoni chiari costruita di recente, al 35 di Cave Road, Plaistow, un quartiere proletario povero ma rispettabile nella zona di West Ham, il distretto più grande della zona portuale di Est London.» 

Dieci giorni dopo, quando ormai la puzza riempiva la casa, Robert raccontò alla zia la sua verità: «Sabato la mamma ha bastonato Nattie perché aveva rubato del cibo (…) e ha detto: “Bastonerò anche te”. Nattie ha detto: “L’ammazzo. No, io non ce la posso fare, Bob, puoi farlo tu? Farò due colpi di tosse: quello sarà il segnale e tu l’ammazzerai”. E così ho fatto.» 

Il processo venne seguito con estrema attenzione dalla pubblica opinione: «… le copie andavano a ruba con la stessa rapidità di quando i giornali riportavano aggiornamenti su una crisi politica, una guerra o un importante evento sportivo. A Islington, nella zona nord di Londra, un candelaio vendeva modellini di cera delle teste dei fratelli Combes e di John Fox, che venivano acquistati da attori e intrattenitori. Al di là del Tamigi, sulla riva sud, un teatro popolare mise in scena un melodramma sull’omicidio. La storia del crimine di Robert Coombes era già stata pubblicata in tutto il paese, illustrata da artisti e adattata per il palcoscenico.»

In Il ragazzo cattivo, Kate Summerscale ricostruisce gli eventi con meticolosa precisione come un investigatore che mette insieme frammento dopo frammento, scandagliando ogni fatto da più prospettive.

Ne deriva un libro che è, insieme, una coinvolgente storia vera (notevole l’apparato bibliografico e fotografico), un attento saggio storico-sociale, un giallo che, nonostante il colpevole sia presto individuato, tiene avvinto il lettore, e un romanzo di formazione che va da un’adolescenza perduta ad un’onesta e addirittura eroica maturità.

Attenta e sensibile la ricerca dei fattori sociali, delle dinamiche familiari e degli aspetti psicologici che possano illuminare gli eventi.

Avvincente la ricostruzione del dibattito in tribunale e sui giornali, in particolare quello sulla grande diffusione, intorno al 1890, dei penny dreadfuls, o penny bloods, («Ogni settimana si vendeva più di un milione di copie di periodici per ragazzi, e ad acquistarli erano soprattutto i figli della classe lavoratrice che avevano imparato a leggere nei collegi statali fondati nei venti anni precedenti.») considerati forieri di atteggiamenti ribelli e depravati.

Intenso il racconto degli anni passati a Broadmoor, una sorta di carcere per malati di mente, soprannominato paradiso degli assassini, per l’accudimento rispettoso che vi si operava: «Il personale di Broadmoor non usava mezzi di contenimento, come camicie di forza e ceppi; nell’edificio non era presente nemmeno una cella imbottita. Se un paziente diventava ingestibile il guardiano doveva chiamare aiuto e poi cercare, con il supporto dei colleghi, di trattenerlo finché non si fosse calmato. Se era inevitabile lo scontro fisico, i guardiani sapevano che non dovevano mai immobilizzare un paziente a terra, né torcergli braccia o gambe. Le regole del manicomio prevedevano che la gentilezza e pazienza fossero le virtù cardinali da applicare con i pazienti. I farmaci erano usati con parsimonia: ogni tanto impiegavano la morfina come sedativo e il brandy come tonico. Le uniche terapie erano un ambiente tranquillo, un personale controllato e orari regolari.» 

A Broadmoor, Robert «lavorava nel laboratorio di sartoria, in un edificio tripartito dietro l’ingresso centrale. Tra l’odore del crine di cavallo e del cuoio delle vicine botteghe di materassaio e calzolaio, lui e gli altri sarti cucivano e riparavano le uniformi blu scuro del personale e la biancheria, le lenzuola e i completi grigi dei pazienti. (…) Ogni paziente lavoratore riceveva un pasto in più al giorno (alle undici di mattina, a base di pane, formaggio e pappa d’avena) e cinque scellini al mese, un ottavo dello stipendio medio corrente. Robert poteva usare i suoi soldi, annotati come credito in un registro tenuto dall’amministratore di Broadmoor, per ordinare provviste supplementari come tè e tabacco, o semi da piantare nella sua aiuola. (…) Robert imparò a suonare nuovi strumenti (il violino, il pianoforte, la cornetta) e diventò un membro entusiasta della banda degli ottoni del manicomio.»

Tutto ciò lo portò, una volta libero, ad una nuova fase della sua vita, in Australia.

Il ragazzo cattivo di Kate Summerscale, edito da Einaudi, è il racconto, ricco nei contenuti e stilisticamente sorvegliato, del delitto, castigo e redenzione di Robert: la maturazione della sua nuova identità è l’affermazione che nessun finale è scontato, che, talvolta, alla seconda possibilità che la vita concede, si riesce a rispondere in pienezza.

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