giovedì 3 novembre 2016

Microstorie: Il buco nero di Teresa








Da quando le avevano proibito latte e caffè (il the l’aveva abbandonato da tempo) Teresa faceva colazione con una tisana, adatta più ad addormentarsi che a svegliarsi. 

Di solito, la cosa non la infastidiva più che tanto (in fatto di alimentazione era più abituata a togliere che a mettere), ma quella come altre mattine s’era già alzata stanca e il tepore della tisana, invece che confortarla, accentuò una debolezza diffusa delle ossa e dello stomaco e allargò il vuoto che avvertiva intorno al cuore. 

Faceva colazione seduta davanti al computer e le prime pagine dei giornali le accrescevano inquietudini e malinconia.

La sera, talvolta, le faceva paura, affollandole la mente di fantasmi. Ma era uno spavento di paure concrete, una palla all’interno del petto, che si poteva un po’ sgonfiare avvicinando il sonno col concentrarsi sul respiro. Il primo mattino, se si svegliava già triste, era peggio. La mente vagava in uno struggimento diffuso, una voglia di sciogliersi nel pianto, di ritirarsi in una solitudine assoluta, senza più parole e, forse, senza più neppure pensiero.

Chiuse il computer e, con passi leggeri per non svegliare gli altri di casa, raggiunse un capiente stanzino-ripostiglio, dove l’aspettava una cesta di panni da stirare. 

Stirare non le dispiaceva, forse il conforto del calore, quel dispiegarsi della stoffa come un rilassamento della mente. Ma le salirono le lacrime agli occhi, dal fondo in cui ora abitava: quello che le sbatteva in faccia ogni sconfitta, facendole sentire tutta la sua vita come un cumulo di errori imperdonabili.

Finito di stirare, scese per la spesa. Aveva in programma, per l’indomani, domenica (questi sprofondi in un buco nero le capitavano per lo più nei giorni di vacanza dal lavoro) dei cannelloni al ragù. Al supermercato vicino casa trovò il macinato di chianina, ma non la pasta della marca che le interessava. Si chiese se fosse il caso di cambiare menù o di adattarsi a quanto il supermercato le offriva.

Non si diede risposta e tornò a casa. Poco dopo, senza averci pensato, si rimise una giacca e scese verso un altro supermercato. Neppure lì trovò i cannelloni che cercava. Mi farò il giro delle botteghe, si disse e continuò a camminare. Il sole si stava alzando facendo prevedere, dopo una settimana umida e piovosa, una bella giornata; l’aria era fresca e azzurra.

Teresa gonfiò le narici per respirare profondamente, avvertì i piedi sul terreno, si compiacque per il movimento delle gambe e il sollevarsi e abbassarsi del petto, il calore delle mani. Si sentì felice d’essere lì, a camminare su una strada qualunque, a cercare, semplicemente, una pasta.

Le tornò in mente che, una volta, aveva letto un articolo in cui Natalia Ginzburg parlava del pozzo in cui cadono le donne. L’aveva aiutata a non sentirsi troppo strana. Ma ancora si stupiva che, una volta risucchiata in un buco nero, poi bastava un refolo d’aria, una parola, un’impercettibile niente a rimetterla coi piedi per terra, la testa sul collo, e il cuore, grato, oltre l’orizzonte.





1 commento:

  1. Che bello, Maria! Un racconto che inneggia alla positività, anche considerando i buchi neri nei quali si cade e che tu descrivi con precisione. Una lettura molto gradevole, e agile. Grazie!

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