sabato 5 novembre 2016

Orfani bianchi di Antonio Manzini







Che gran libro è Orfani bianchi di Antonio Manzini, appena pubblicato da Chiarelettere, il più bello degli italiani che ho letto quest’anno.

Coinvolgente, emozionante –lingua scorrevole, accurata, precisa; tempi narrativi giusti; ritmo e tensione adeguati allo svolgimento della vicenda; luoghi, odori, sensazioni, sentimenti che non sono parole che scivolano via, ma l’assoluta concretezza di una storia in cui non si può non immergersi – inchioda alle sue pagine, mettendo in moto mente e cuore del lettore.

Indimenticabile la protagonista, Mirta Mitea, giovane moldava che fa la badante a Roma e tiene anima e corpo al suo paese, dove il figlio, dopo la morte dei nonni, vive in un orfanatrofio Indimenticabili i coprotagonisti, a partire dalla prima e dall’ultima anziana di cui si occupa nel racconto. Indimenticabile, soprattutto, Ilie, il ragazzo assente, che pronuncia pochissime parole in tutto il libro, ma è direttamente e/o indirettamente evocato in ogni pagina.

Ilie, il figlio di Mirta, è uno dei tantissimi orfani bianchi che crescono nell’Est europeo mentre le loro madri si occupano degli ultimi anni di vita di anziani, che le nostre famiglie non sanno e/o non possono più accudire. Un’espressione, orfani bianchi, che fa pensare alle vedove bianche: anche in quel caso un’assenza (dei mariti) determinata dall’emigrazione.

Manzini – giallista apprezzato, creatore del commissario Schiavone, (anche questo libro, fosse partito dalla fine, avrebbe potuto essere costruito come un giallo: ma altre erano le sue intenzioni) – è riuscito in piccolo miracolo della nostra attuale narrativa.

Ha scritto un libro ad alto tasso letterario, che coinvolge intimamente il lettore, ma è tutt’altro che intimistico, affrontando una tematica sociale gravissima, che riguarda sia i paesi di partenza che quelli di arrivo delle badanti, ma a cui non si dà quasi nessuna attenzione.

Un libro che affonda nella realtà e permette di guardare, insieme, dentro se stessi e al di là del proprio naso.

Un libro bello e attualissimo, che si può leggere come classico contemporaneo.

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