domenica 15 dicembre 2013

Racconti: Ancora un caso per Poirot






Di strade ne avrebbe due. O prendere atto che, adesso, ne ha uno in meno e lasciare le cose come stanno, ché già uno spreco economico l’ha fatto. Oppure andare a comprarne un altro, spendere altri soldi, ma rattoppare in qualche modo quel taglio sul cuore.

Ci pensa. Ma nessuna delle due sembra placarla.

Quando, andando a tirar fuori dall’armadio maglione e pantalone da mettersi la sera – un impegno di lavoro, ma di quelli da onorare presentandosi in versione meno casuale del solito – aveva scoperto che quel pantalone non c’era da nessuna parte, le era precipitato addosso qualcosa non troppo dissimile alla disperazione.

Sapeva bene che non c’è proporzione alcuna tra un pantalone mancante, benché di marca, e la desolazione in cui aveva nuotato per ore e ore senza esserne, quasi una settimana dopo ancora  ancora del tutto uscita. Ma la defaiance  l’era parsa come l’irrimediabile certificazione  che la mente si stesse sbriciolando,  la trasandatezza su ogni aspetto pratico della vita avesse superato i limiti di guardia, e l’intelligenza, mai brillante ma sempre lucida, fosse affogata da tempo nell’angoscia dei suoi fantasmi.

Forse, chi potrebbe se non sanare alleggerirle il colpo è uno di quei vecchi investigatori che hanno il potere di placarle l’ansia, Maigret-Cervi, ma anche Maigret-Cremer, Nero Woolf- Buazzelli, Poirot- Suchet.

L’ultimo, soprattutto, con tutte le sue celluline grigie al lavoro.

Qui, da indagare, in fondo c’è ben poco.

E, poi,  lei sarebbe pronta a raccontare tutto quel che sa.

Il pantalone l’ha comprato un pomeriggio di grande stanchezza, una sorta di consolazione e poi, parendole troppo bello o troppo costoso per rischiare di sciuparlo per pochi euro, non gli aveva fatto la piega da sé, l’aveva dato alla sarta. Dalla sarta l’aveva ripreso una collega che gliel’aveva portato al lavoro insieme ad un ventennale cappottino che s’era decisa a far rimodernare. Stavano, cappottino e pantalone, nella stessa busta, quale non lo ricordava, certo abbastanza grande da farli entrare entrambi.

Ora il cappottino sta a casa, appeso dove stava anche prima dell’aggiusto. Il pantalone no. Né nell’armadio né in nessun altro luogo

Che l’abbia portato a casa, lo ritiene certo oltre ogni possibile dubbio. Togliendo il cappottino dalla busta, se ne sarebbe pur dovuta accorgere che il pantalone mancava.

Ma che cosa sia successo dopo aver risposto il cappottino, non ha percezione alcuna, neppure un sentore vago, una scia di reminiscenza. Chissà, forse è stata interrotta da una telefonata. Ma la busta rimasta a terra deve averla pure, ad un certo punto, ripresa. Che ne ha fatto? È possibile che l’abbia messa nella spazzatura, tanto distratta da non accorgersi, se non del peso almeno del gonfiore?

Sa quando ha portato la busta a casa, era un mercoledì d’ottobre, sa anche che impegni avesse quel pomeriggio, l’agenda glielo conferma.

Eppure non riesce a districare il garbuglio. Quale tensione, quale ansia, quale rilassato pensiero, qual senso d’abbandono per addomesticare quale terrore, quale urticante angoscia l’avevano annebbiata al punto che nulla sa di quella busta, di dove l’ha riposta o buttata, del perché non ha appeso al suo posto quel pantalone. Che era di un grigio argenteo, luminoso.

In assenza di Hercule Poirot, dopo aver pensato anche alla possibilità di punirsi evitando compere vestiarie almeno per un anno, si decide. Va a ricomprarlo. Scopre che no, il pantalone – nel negozio ne è rimasto solo uno –  non è grigio, ma ha uno di quei colori nuovi, mescolanze strane di scuri e chiari. E non è per niente bello come lo ricordava. Torna a casa, ripone il bel sacchetto plastificato ben in evidenza nell’armadio e si chiede se mai, quel pantalone, lo indosserà.


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