Di strade ne
avrebbe due. O prendere atto che, adesso, ne ha uno in meno e lasciare le cose
come stanno, ché già uno spreco economico l’ha fatto. Oppure andare a comprarne
un altro, spendere altri soldi, ma rattoppare in qualche modo quel taglio sul
cuore.
Ci pensa. Ma
nessuna delle due sembra placarla.
Quando,
andando a tirar fuori dall’armadio maglione e pantalone da mettersi la sera –
un impegno di lavoro, ma di quelli da onorare presentandosi in versione meno
casuale del solito – aveva scoperto che quel pantalone non c’era da nessuna
parte, le era precipitato addosso qualcosa non troppo dissimile alla
disperazione.
Sapeva bene
che non c’è proporzione alcuna tra un pantalone mancante, benché di marca, e la
desolazione in cui aveva nuotato per ore e ore senza esserne, quasi una
settimana dopo ancora ancora del tutto
uscita. Ma la defaiance l’era parsa come
l’irrimediabile certificazione che la
mente si stesse sbriciolando, la
trasandatezza su ogni aspetto pratico della vita avesse superato i limiti di
guardia, e l’intelligenza, mai brillante ma sempre lucida, fosse affogata da
tempo nell’angoscia dei suoi fantasmi.
Forse, chi
potrebbe se non sanare alleggerirle il colpo è uno di quei vecchi investigatori
che hanno il potere di placarle l’ansia, Maigret-Cervi, ma anche
Maigret-Cremer, Nero Woolf- Buazzelli, Poirot- Suchet.
L’ultimo,
soprattutto, con tutte le sue celluline grigie al lavoro.
Qui, da
indagare, in fondo c’è ben poco.
E, poi, lei sarebbe pronta a raccontare tutto quel che
sa.
Il pantalone
l’ha comprato un pomeriggio di grande stanchezza, una sorta di consolazione e
poi, parendole troppo bello o troppo costoso per rischiare di sciuparlo per
pochi euro, non gli aveva fatto la piega da sé, l’aveva dato alla sarta. Dalla
sarta l’aveva ripreso una collega che gliel’aveva portato al lavoro insieme ad
un ventennale cappottino che s’era decisa a far rimodernare. Stavano,
cappottino e pantalone, nella stessa busta, quale non lo ricordava, certo
abbastanza grande da farli entrare entrambi.
Ora il
cappottino sta a casa, appeso dove stava anche prima dell’aggiusto. Il
pantalone no. Né nell’armadio né in nessun altro luogo
Che l’abbia
portato a casa, lo ritiene certo oltre ogni possibile dubbio. Togliendo il
cappottino dalla busta, se ne sarebbe pur dovuta accorgere che il pantalone
mancava.
Ma che cosa
sia successo dopo aver risposto il cappottino, non ha percezione alcuna,
neppure un sentore vago, una scia di reminiscenza. Chissà, forse è stata
interrotta da una telefonata. Ma la busta rimasta a terra deve averla pure, ad
un certo punto, ripresa. Che ne ha fatto? È possibile che l’abbia messa nella
spazzatura, tanto distratta da non accorgersi, se non del peso almeno del gonfiore?
Sa quando ha
portato la busta a casa, era un mercoledì d’ottobre, sa anche che impegni
avesse quel pomeriggio, l’agenda glielo conferma.
Eppure non
riesce a districare il garbuglio. Quale tensione, quale ansia, quale rilassato
pensiero, qual senso d’abbandono per addomesticare quale terrore, quale
urticante angoscia l’avevano annebbiata al punto che nulla sa di quella busta,
di dove l’ha riposta o buttata, del perché non ha appeso al suo posto quel
pantalone. Che era di un grigio argenteo, luminoso.
In assenza
di Hercule Poirot, dopo aver pensato anche alla possibilità di punirsi evitando compere
vestiarie almeno per un anno, si decide. Va a ricomprarlo. Scopre che no, il
pantalone – nel negozio ne è rimasto solo uno –
non è grigio, ma ha uno di quei colori nuovi, mescolanze strane di scuri
e chiari. E non è per niente bello come lo ricordava. Torna a casa, ripone il
bel sacchetto plastificato ben in evidenza nell’armadio e si chiede se mai,
quel pantalone, lo indosserà.
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