Nessuno
mi ha festeggiato, ma ho compiuto cento anni. Sono l’unico rimasto dei
miei fratelli e sorelle. Sono stato il primo piantato da don Giovanni.
Allora c’era una sola lenza fatta a giardino, tutto era ancora seccagno e
la sera, quando scendeva il buio, per non aver paura, ci raccontavamo
le storie, io, i fichi d’india in siepe che
facevano da limite con la proprietà di ‘mpari Cola e gli ulivi che
stavano più in alto. Poi don Giovanni alzò armacere, tolse le pietre,
zappò e piantò tutta questa terra a mandorli.
I
mandorli giovani cercavano il primo soffio del vento per smuovere le
foglie in segno di saluto. Mi nominarono capo del campo e passammo anni
faticosi e lieti. Ci riempivamo di petali bianchi già da gennaio e ci
caricavamo di frutti e anche i bastoni non ci sembravano che carezze.
Perché chi raccoglieva le mandorle, nel calore di luglio, si spaccava la
schiena ma era contento e ci guardava con gratitudine.
Poi
non fu più così. Don Giovanni diventò troppo vecchio. Veniva qualcuno
dei figli, diceva: “E’ troppa fatica e poca resa”. Tagliarono i mandorli
– ne lasciarono solo tre: “Giusto per i petrali” – e piantarono
bergamotti.
Io
piansi i miei fratelli giovani, ma restai il capo del campo perché i
bergamotti dissero ch’era giusto così. L’odore della zagara ogni
primavera mi dava linfa e, nonostante l’avanzare del tempo, continuavo a
fare mandorle. Poche, ma nessuno se ne importava più - neanche di
tagliarmi via.
Poi,
i figli furono sostituiti dai nipoti. Vennero, dissero: “E’ troppa
fatica e poca resa” e tagliarono anche i bergamotti. Ne hanno lasciato
solo due, ma stanno sulle lenze più basse, se non alzano la voce non li
sento, che le mie orecchie sono indurite.
All’inizio
di quest’anno è venuta una bambina. Bionda, con gli occhi verdi.
Dev’essere figlia di uno di questi nipoti. Con lei c’era la nonna:
“Piantiamolo qua” e volle messo accanto a me un albero che, da queste
parti, non avevo visto mai.
Mi
sembrò, quando il sole scese al li là dello stretto, di sentirlo
piangere. Fui cauto a fare domande, ma non aspettava altro che poter
dire di sé. Si chiamava: abete. Era cresciuto in un vivaio e l’avevano
venduto alla madre della bambina, che l’aveva portato a casa e
agghindato a festa. L’avevano riempito di nastri rossi e palle colorate e
di luci a intermittenza che gli facevano il solletico, ed era bello
vedere la bambina battere le mani contenta. Poi gli avevamo messo sotto
tante scatole e scatolini e una notte, che a casa c’era più gente del
solito, le avevano prese e aperte e sembravano tutti felici.
Che
bella sarebbe stata la sua vita in quella casa, aveva pensato l’abete,
ma, pochi giorni dopo, l’avevano spogliato di tutto, la signora che
l’aveva comprato aveva detto: “Che strano, non è morto, ora che ne
facciamo?” e, dopo un po’, s’era risposta da sola: “Ma, proviamo a
trapiantarlo in giardino, chissà, magari lo possiamo riutilizzare il
prossimo anno”.
Per
qualche mese, ogni giorno l’abete mi chiedeva: “Che dici, è passato un
anno?”, poi ha smesso di rinvangare il passato. È diventato amico dei
due bergamotti, degli altri due mandorli, dell’unico pesco e del pero e
anche del pruno, dei fichi d’india e dell’uva fragola. È affettuoso e
gentile.
“Hai
sentito quei due che passavano là sotto, per strada? – mi ha detto ieri
– Non deve mancare molto al Natale. Chissà cosa mi succederà”.
Non
aveva finito di dirlo che è apparsa la bambina. S’era fatta alta e le
forme annunciavano già una giovinezza tenera e forte. Aveva con sé due
grandi buste di plastica, e una piccola scala pieghevole.
Tolse
nastri d’argento e d’oro, rossi e blu e ricoprì l’abete fino quasi a
nasconderlo, poi scese due lenze e rivestì di festoni il bergamotto e,
veloce, tornò su. Sui
miei rami spogli ha messo grandi fiocchi a quadri e a pois e, in alto
ha legato con rafia color tronco una grande stella argentata. Mi sento un po’ ridicolo e mi prendo io stesso in giro, parlando con l’abete, per non mettermi a piangere di commozione.
Pubblicato su Zoomsud http://www.zoomsud.it/index.php/commenti/61506-quando-il-mandorlo-divenne-albero-di-natale.html
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