giovedì 9 dicembre 2021

La Pellarese/L’albero di Natale


 

Foto tratta dal gruppo FB Io amo Pellaro

Gioiscono i cieli, esulta la terra… gli alberi del bosco danzano di gioia (Sal 96, 11-12)

Il primo albero di Natale della sua vita, Consola lo vide, e già aveva superato i dieci anni, a casa di amici dei genitori. L’aveva guardato con meraviglia, quasi con sbalordimento: alto, con le palline colorate e agghindato con pupazzetti a mo’ di babbi natale di cioccolata racchiusi in carta stagnola colorata.

Fino a quel momento, l’unico segno del Natale per lei era stato il presepe, con la carta di cielo stellato a contornare la capanna e quella da pacchi sgualcita per fare le montagne e il muschio preso in guardino da mettere sotto le pecorelle.

Quell’albero le lasciò emozioni confuse. Come una magia, ma sfacciata. Una bellezza sfrontata. Negli anni, però, il pino o l’abete cominciarono a entrare anche in casa sua. Prima, timidamente, piccoli e falsi; poi, sempre più spavaldi, grandi e veri; e, di nuovo, falsi ma grandi. Con ricchi addobbi multicolori o a tema predominante. Luminosi. Allegri. Eleganti.

Le rimase una predilezione per la bellezza nascosta del presepe – ne avrebbe collezionati di ogni foggia – ma gli alberi, scoprì, le davano calore e compagnia. Quelli in casa, quelli nelle piazze. Segni, le pareva, anche di un Natale sempre più festa, e con non poche dosi di ipocrisia, dei bambini, delle famiglie, delle relazioni che evento cruciale di una fede. Festa del consumo, con tanti Lazzaro ai margini, eppure evocazione del sogno, magari sconosciuto, nascosto dentro il cuore di ciascuno.

Di tutti, uno le pareva di famiglia. L’albero-peperone, lo chiamava la figlia facendo riferimento alla forma; l’albero-melenzana lo definiva il marito, soffermandosi sul colore delle luci. E, da qualche anno, albero senza più cima, portata via dal vento o da chissà che cosa. Ma, albero più che centenario – qualcuno diceva che l’avessero piantato i canadesi, arrivati con qualche soccorso per i terremotati del 1908, qualcuno che l’avesse piantato uno del paese trasferitosi in Canada – che scandiva il tempo natalizio del suo rione.

E che, nel secondo Natale di epidemia, a due passi dal centro vaccinale, sembrava dire che l’alba non era troppo lontana.





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