lunedì 16 gennaio 2017

Silence di Martin Scorsese








Nonostante la bellezza degli ambienti, delle scene, dei costumi, della recitazione, Silence è un film che non concede nulla allo spettatore sul piano dello spettacolo. E’ un film di idee, che non punta all’empatia, nel senso di reazioni emotivo-viscerali, ma alla riflessione attenta, forse anche alla meditazione.

Scorsese ha impiegato anni per decidersi ad affrontarne la regia – una regia estremamente controllata – e anche chi lo vede ha bisogno di tempo per far maturare in sé delle considerazioni profonde, ma anche per rispondere a una domanda più banale: quanto è bello questo suo film-testamento? (Di bello è indubbiamente bello, ma è riuscito al pari dei suoi più celebrati capolavori? E, se non lo fosse, ciò non dipenderebbe dal fatto che, quando si arriva a domande essenziali, capita che resti, pur nella perfezione assoluta, un quid di imperfezione?)

Siamo nel Seicento. Due gesuiti, giovani e desiderosi di martirio per testimoniare la forza della loro fede, partono per il Giappone, dove è in corso una dura repressione anticristiana, alla ricerca di un confratello, loro maestro, di cui si hanno vaghe notizie di apostasia. È l’incontro con un mondo totalmente altro, con la fede cristiana semplice e forte di gente poverissima che non teme la morte, anzi la considera il passo necessario per raggiungere il paradiso e, quindi, la fine di tutte le sue sofferenze, e con la viltà di un infimo pietro, di un piccolo giuda, che più volte rinnega la fede e ogni volta si pente d’averlo fatto. Ed è lo scontro tra uno dei due gesuiti, certo che la sua fede gli consentirà di ripercorrere nella sua vita la passione di Cristo mantenendosi fedele alla sua missione, e il “grande inquisitore”: che, con pesanti torture fisiche e psichiche, cerca di farlo abiurare, animato, più che da uno spirito anticristiano, dall’esigenza di sottrarre il Giappone alla cultura occidentale, ad una visione del mondo avvertita come estranea e, potenzialmente, nemica.

La fede, il rapporto tra le culture e le differenze tra cristianesimo e buddismo (Scorsese ha avuto una formazione cattolica ed è il regista sia de L’ultima tentazione di Cristo che di Kundum), la contraddizione tra il rispetto dei principi e la misericordia nei confronti delle persone, ovvero le tematiche che attraversano il film, sembrano sciogliersi in una scelta, per quanto sofferta e contraddittoria: la fedeltà agli uomini come prioritaria rispetto alla fedeltà a Dio e, nonostante tutto, la fedeltà a se stessi.

A tutte le domande che mi sono posta vedendo il film, preferisco pensarci ancora, prima di tentarne una qualche espressione.

Per intanto: sono molto contenta d'averlo visto e grata del fatto che Scorsese c'è.





Rimando a questa intervista di Martin Scorsese:

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