giovedì 19 gennaio 2017

A lutto




 
foto tratta da La Repubblica


Ieri pomeriggio, ho pulito il pavimento, lavorato al prossimo libro di Nisida, cucinato, letto un testo da recensire, fatto la lavatrice, risposto alle mail, pregato, ecc. Stamattina, sono tornata a scuola, ho letto, spiegato, corretto, ecc.

Ma da quando, tornando dal lavoro, in macchina la radio mi ha cominciato a raccontare delle nuove scosse in un terra che già martoriata dal terremoto, dalla neve, dalla mancanza di elettricità – e, oggi, ci ha aggiunto la vicenda dell’hotel sepolto sotto la slavina – ho la sensazione, netta, di stare a lutto.

Un lutto che cerco di incanalare nel rispetto dei miei doveri, ma che avrebbe forse bisogno di esprimersi in forme arcaiche: estreme e collettive: coprirsi il capo di cenere, stracciarsi le vesti, negarsi il cibo e, soprattutto, il riscaldamento.

Per senso di solidarietà. Almeno metaforicamente.

Quasi un esercizio di pentimento, meglio di conversione collettiva: riconoscere la nostra estrema fragilità, dare massima attenzione e cura alla natura e alle persone, ritrovare la forza del cammino dopo ogni tragedia. 

Sapere quanto si è piccoli e lavorare sodo perché ci sia meno dolore.

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