lunedì 25 maggio 2015

Poi son tornati i prati (forse)








Quand’ero bambina, il 4 novembre non si andava a scuola. Il ponte dei morti si allungava per la “festa della Vittoria”. Sul sussidiario c’era scritto che, per l’Italia, la prima guerra mondiale era stata la “quarta guerra d’indipendenza”. In famiglia, si parlava della più recente seconda guerra mondiale, che aveva toccato tutti, era arrivata nel nostro mare e nelle nostre campagne e nelle nostra case più che della precedente che aveva portato i nonni su montagne lontane. Della prima guerra, i vecchi del paese ricordavano soprattutto le lettere e il re. Le lettere che solo pochi riuscivano a scrivere e a leggere. Mio nonno paterno (che a scuola non era andato ma, bambino, pascolando le capre, aveva appreso qualche rudimento da una bambina poi diventata mia nonna materna, che aveva completato la seconda elementare) era stato allontanato dalla prima linea per i postumi del vicino scoppio di una granata, era diventato postino e, in quanto tale, anche lettore e scrivano per i commilitoni.  (Sarebbe poi stato nominato, lui ragazzo del 99, cavaliere di Vittorio Veneto). Il re perché, vero o immaginato, in molti giuravano d’averlo visto al fronte, che stringeva le mani ai soldati. (Immagine che, insieme a quella della regina Elena che si stringeva al petto i bambini orfani del terremoto dell’otto, gli aveva dato il senso, per la prima volta nella storia, d’essere tutti italiani. (Tanto che, due decenni dopo lo zio Sciau, contadino, che aveva sentito la notizia alla radio di nipote tornato dall’America, attraversò la rua correndo per annunciare al cugino, anche lui contadino: “Giovanni, Giovanni è nato il principino…”, felice come si trattasse di una nascita in casa)

Da giovane, ho frequentato per un bel po’ monsignor Agostino, e, quindi, la chiesa di cui era parroco: San Giorgio al Corso, altrimenti chiamata Tempio della Vittoria. Nel portale e ai suoi lati, ci sono dei bassorilievi che raffigurano alcuni momenti della prima guerra mondiale e vi sono impressi alcuni nomi di località dove sono state combattute importanti battaglie (Monte Nero, Carso, Bligny, Montello, Isonzo, Bainsizza, Monte Grappa, Piave). Mi ha sempre dato una sensazione particolare varcare quel portone e me la continua a dare anche ora che ci passo, di sfuggita, non più di due o tre volte l’anno: come obbligasse ad un atteggiamento austero, consapevole dell’estrema sofferenza della storia.

Non amo la retorica e neppure l’antiretorica delle celebrazioni. Ma mi è sembrato giusto, ieri, passare in rassegna almeno qualche scheggia di memoria personale sulla prima grande tragedia del Novecento, vedendo un film insieme crudo e onirico, torneranno i prati di Ermanno Olmi.

Nessun commento:

Posta un commento