venerdì 10 giugno 2022

La foglia di fico. Storie di alberi, donne, uomini di Antonio Pascale

 


«Tornando a Roma, col pane in una busta per i miei figli, ho pensato: se non riesco a scrivere ’sto saggio, se non riesco a mettere insieme il grano e il senso della vita, la cavalcata dalle foreste ai campi coltivati e da questi alla luna, la natura umana così ambigua, ora tribale come certe periferie ora più raffinata come certi posti del centro, di certo ambivalente perché ora sfruttiamo i benefici della modernità ora li detestiamo e desideriamo vivere nei boschi, ma solo noi, perché se già ci viene il nostro vicino di casa si crea intasamento; se non riesco a parlare di certi sentimenti di perdita e della paura conseguente, se fatico a parlare di certe aggressioni così umane che sembrano disumane, ad analizzare i concetti di naturale, di artificiale, di predazione, di protezione, e certe dinamiche relazionali così disordinate che non potranno mai ordinarsi o altre sì ordinate ma senza slanci; se non riesco a raccontare alcune piante perché in esse sono racchiusi dei simboli universali, utili a raccontare come siamo fatti, se rifiuto di raccontare quali sono le ragioni che rendono la vita degna di essere vissuta e l’importanza di fare una buona morte per chiudere i conti con la vita; se non faccio una scelta di campo narrativa e non dico no alle solite storie e sì alla rapsodia e alla sperimentazione, no alle ordinate saghe famigliari e sì alla frammentazione disordinata che tra l’altro descrive meglio la nostra attuale condizione, insomma se non riesco, allora tanto vale che vado da Ugo e me lo faccio dire in faccia: – Omm’ bell, ma quant si’ strunz!

P.S.: Vabbè, poi ho scritto un racconto sul grano che parlava della mia difficoltà nello scrivere un racconto sul grano, un classico, e l’ho fatto leggere a una mia amica grecista, per controllare i miti citati, e un giorno, a fine agosto, mentre facevo un giro nelle campagne romane e osservavo lo spettacolo delle stoppie e delle balle tonde o rettangolari contro il cielo azzurro, e pensavo che era bello e ovvio insieme, ho ricevuto una telefonata da questa mia amica. Mi ha detto che le era piaciuto il racconto, ma attenzione: – Il mito di Demetra e Persefone, – ha ripetuto più volte, – è forse troppo semplificato, sicuramente l’hai visto su Wikipedia, vero? – Vero, – ho ammesso. – È molto piú complesso, però forse ti porterebbe troppo fuori strada. –Cioè? – le ho chiesto. – È che Persefone doveva essere la regina dell’Ade, insomma, – ha spiegato. – Persefone aveva un altro nome, in Grecia è detta anche kore, cioè fanciulla. Non era un personaggio mitologico come tanti, era l’archetipo della fanciulla. Probabile che il suo rapimento indichi un percorso iniziatico che le ragazze greche compivano, da fanciulle a donne. E sai come a volte si rappresentava simbolicamente questo passaggio? – No, – ho risposto, e ovviamente ho pensato ancora una volta che non so nulla di nulla e mi dovrei ammazzare vista la mia ignoranza e ho stramaledetto il tempo, più passa e meno so. – Con la morte, – ha detto la mia amica, – si moriva come vergine e ci si svegliava donna. Capisci? In quest’ottica il rapimento di Ade testimonia la morte della fanciulla e la liberazione della giovane donna. – Ah, interessantissimo, – ho risposto, – un rito di passaggio, come il grano in un certo senso –. E in quel momento, dal campo con le balle di grano che avevo davanti ho ampliato lo sguardo: c’era una quercia lì vicino, a braccia aperte sotto il sole, qualche ciliegio in lontananza che mi sembrava vibrasse di desiderio, un pino la cui chioma raccoglieva la luce e la diffrangeva, ho notato alcune cactacee lungo i muri della cascina e due fichi che si innalzavano tra vecchie macerie, in fondo, poi, i campi di olivi, non c’erano tigli, quelli no, ma venendo in campagna hai voglia quanti ne avevo visti, si sentiva poi un odore di agrumi e la campagna mi ha fatto ripensare alla montagna e la montagna ai faggi, e insomma quel pomeriggio ho pensato che potevo dar vita a quello che avevo davanti. Bastava viaggiare nell’Ade, insomma, morire e tornare a vivere dopo, il viaggio che compiamo sempre, quasi ogni giorno. Viaggiare nell’infanzia, nel tempo, con le donne, cavalcare nella nostra storia alla ricerca delle anime in pena, che poi sono le nostre. Le piante cos’altro sono, in fondo, se non la guida perfetta per un viaggio così? E pensando tutto questo mi sono perso con l’immaginazione e credo di aver avuto l’idea per il libro, ma magari mi sbaglio, è solo un falso ricordo. Il fatto certo è che la mia amica continuava a parlare. – Lascia stare Demetra e Persefone, – mi diceva, – che ti portano fuori strada, che già fai fatica a stare in carreggiata, sempre alla ricerca del senso della vita. Anzi, – ha concluso, – spero proprio che lo trovi prima o poi, magari ti esce un giallo e finisci in classifica e quelli sì che sono passaggi, mica solo simbolici, quelli ti cambiano la vita, eh.»

 

La foglia di fico, Storie di alberi, donne, uomini di Antonio Pascale, scrittore, saggista, autore teatrale e televisivo e ispettore presso il Mipaaf, con le illustrazioni di Stefano Faravelli, edito da Einaudi, candidato allo Strega (ma non entrato nella dozzina), entrato, invece, nella cinquina del Campiello, è tra i libri più interessanti pubblicati in Italia negli ultimi mesi. Originale nel dispiegarsi di trama e stile, narrazione di fatti, informazioni storico-scientifiche, considerazioni personali e riflessioni di ordine filosofico - è, anche, il più vitale nel senso che è quello più legato alla vita, alla sua fragilità, alla sua bellezza, all'importanza delle relazioni umane, alla maliconia del tempo che passa, al non senso e, nello stesso tempo, al miracolo dell'esistere. Scritto come un romanzo di racconti - ogni capitolo può essere letto a sé - il libro è una sorta di viaggio che dai cactus, attraverso faggi, ciliegi, agrumi, olivi, arriva al grano, mediante una ricca trama di ricordi, scoperte, domande sul senso della vita. Un racconto semplice e sapiente, appassionato e autoironico, che immerge il lettore nel mondo vegetale e guarda all’agricoltura, senza nessun idillio bucolico, come alla “cultura” per eccellenza: quella che ci mantiene in vita, consentendoci ogni altra conoscenza. Dopo la pandemia e con la guerra portata dalla Russia in Ucraina, con i risvolti sul grano bloccato e la correlata possibile  fame dei paesi più poveri, un tema particolarmente potente. 

 

 

 

Nessun commento:

Posta un commento