sabato 8 marzo 2025

Perché non accada il peggio

 

Sono cresciuta a pane, incenso, bandiere rosse, Anna Frank (aveva il mio cognome, no?), e partigiani.

Non sono mai stata una fan degli Usa, anzi. Come tanti della mia generazione ho urlato contro l’imperialismo americano, ho ammirato i Vietcong e Salvatore Allende e, come alcuni della mia generazione, ho sperato che Dubcek ce la facesse a dar vita al “socialismo dal volto umano”. Ho vissuto dall’interno, negli anni del mio passaggio tra infanzia e adolescenza, i cambiamenti che il Concilio ha prodotto nella Chiesa cattolica. 

Mai, neppure per un momento, ho pensato che “tutte le guerre sono ingiuste”. La guerra è tragica, produce morte, dolore, distruzione, rovine, odi ecc. ecc. Va “ripudiata” come dice bene la nostra Costituzione “come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, ma va affrontata  con coraggio quando non c’è altra soluzione verso chi la guerra la produce e la attua.

Non sarei qui a dire (a poter dire) quello che penso se Stati e persone non avessero preso le armi, non avessero accettato di essere in guerra, contro il mostro nazifascista. (Non ho neppure mai pensato che la “vita” sia un valore assoluto: ci sono circostanze in cui la vita va “perduta” per essere “salvata”).

Grazie a quella lotta, grazie alla creazione, per quanto limitata e deficitaria, di un’Europa Unita, io, come tutti noi, ho vissuto tutti i miei anni in pace e libertà.

Se si lasciasse oggi spazio, dopo aver chiuso troppe volte gli occhi (vedi Crimea), al prevaricante espansionismo russo (povera Russia passata dallo zarismo allo stalinismo al putinismo, nonostante ci abbia dato tesori inestimabili di cultura, in particolare, ma non solo, letteraria), non solo temo – ma proprio ho pochissimi dubbi – che la generazione di quelli che ora sono bambini potrebbe essere costretta, tra pochi anni, a prendere le armi come “sacro dovere del cittadino” (testuale nella nostra Costituzione) nei confronti della propria patria (che oggi è l'Europa).

Perché ciò non avvenga, l’Europa deve continuare a sostenere l’Ucraina (come è pensabile che chi non si è arreso subito a Putin si possa piegare senza lottare a Trump?) e deve armarsi adeguatamente, senza aspettarsi più nessun ombrello protettivo dagli Usa (ipocrisia suprema: quanto siamo  belli a volere la “pace”, sapendo che, nel caso, qualcun altro penserebbe a noi).

sabato 1 marzo 2025

Ucraina ed Europa: un destino comune

 

Con l’osceno (in senso proprio: non guardabile) trattamento riservato ieri dal presidente americano e dal suo vice (che meriterebbero tutte le male parole possibili) a Zelensky si chiude, per l’Occidente, la fase storica iniziata a Yalta. Fase che, con tutti i limiti, gli errori, e qualsivoglia mancamento o anche colpa, ha consentito agli Stati Uniti la leadership mondiale e all’Europa occidentale di vivere ottanta anni di pace e di benessere.

Oggi l’America ha la faccia di un usuraio che per arroganza, pretese e modi non ha nulla da invidiare a un gangster, a un capo mafia, a un boss criminale. E l’Europa è, e soprattutto si avverte troppo debole per prendere davvero della realtà: che è sola, stretta tra due nemici, la Russia di Putin e l’America di Trump, con la Cina sullo sfondo pronta ad approfittare dagli eventi. In Europa, insieme a molta stupidità e una miopia che rasenta la cecità, circolano e hanno ruoli di vertice troppi ignavi pronti a tirare i remi in barca, a fare da vassalli al feudatario di turno, piuttosto che assumersi la responsabilità del nostro futuro.

Quanti vorranno e sapranno far seguire alle affermazioni di vicinanza all’Ucraina e a Zelensky – il minimo che si poteva fare ieri, ma cui la nostra presedente del Consiglio si è sottratta (Ponzio Pilato da noi va per la maggiore) – un sostegno reale, necessario soprattutto ora?

Eppure, in questi ultimi tre anni – e mai come da ieri – il destino dell’Ucraina e quello dell’Europa viaggiano insieme.

sabato 22 febbraio 2025

Il Corredo di Patrizia Rinaldi

 

Ho ricevuto in anteprima Il Corredo di Patrizia Rinaldi, che esce il 25 febbraio pubblicato da Piemme. Un’emozione grande.

Oltre il moto di simpatia per l’uscita di un nuovo libro di un’autrice “nisidiana” diventata amica (Patrizia Rinaldi ha partecipato a tutti i dodici anni di quel Progetto di Scrittura che ha portato a dodici volumi pubblicati), ho un motivo personale di particolare gratitudine per questo suo nuovo romanzo.

Patrizia Rinaldi riprende in questo libro, all’interno di una trama ben più articolata e complessa, qualche parte di una mia ricerca.

Mantengo una straordinaria affezione per la mia tesi di perfezionamento in Storia Moderna (Università La Sapienza, 1980). Il tema – “Doti nuziali a Napoli nel Settecento” – me l’ero scelto io, in un tempo in cui questo tipo di indagini, già abbastanza diffuso in Francia e in Inghilterra, non era comune nelle università italiane. Quando l’avevo proposto al mio relatore, il professor Vittorio Emanuele Giuntella – lo riferisco a suo merito – disse che non ne sapeva nulla, ma che sarebbe stato lieto di seguire la mia ricerca. Il tempo che ho passato nell’Archivio di Stato e nella Biblioteca Nazionale di Napoli resta tra le cose più belle della mia vita. La stesura di quella tesi continua ad essere tra le ore che, a distanza di tanto tempo, mi sembrano meglio spese.

Che quel mio vecchio lavoro trovi nuova vita in un libro di narrativa, direi in un libro di letteratura, mi commuove profondamente.

Miei sentimenti a parte, infatti, Il Corredo è non solo il più bel romanzo di Patrizia Rinaldi ma anche tra i romanzi migliori pubblicati in Italia negli ultimi anni per inventiva, stile, lingua.

Mi auguro venga accolto con l’interesse che merita.