mercoledì 10 luglio 2024

Su Alice Munro e sua figlia Andrea Robin Skinner

 

Perché non dovrei valutare il comportamento di Alice Munro nei confronti della figlia Andrea Robin Skinner e del secondo marito che quella bambina ha molestato ma è stato, per così dire, perdonato per amore? Una Nobel che reagisce sentimentalmente come una sciacquetta qualsiasi o una delle tante madri che coprono gravissimi abusi domestici resta una grande autrice ma, appunto, può insegnare come si scrive, ma non come si vive. I suoi libri aprono mondi, illuminando soprattutto aspetti ombrosi del rapporto madre-figlia: non è questo in discussione. Ma non è neppure in discussione che il suo magistero resta dentro i libri: lì va lasciato e non oltre.

Non penso che persone e opere si identifichino. Per fare un solo esempio. Ho riso su alcuni (non tutti) film di W. Allen, ma non ho nessuna stima di lui come persona.

Quando insegnavo ho passato ore e ore a ribattere ai ragazzi che dicevano di non poter essere giudicati nelle loro azioni: effetto perverso, a mio parere, visto che lo concedevano a Dio, di un raffazzonato cattolicesimo. Dicevo loro che indubbiamente nessuno poteva dare un giudizio che fosse una sorta di marchio globale e definitivo sulla loro vita, sul groviglio di esperienze, sugli incastri psicologici che ne avevano determinato le azioni. Non ho mai avuto dubbi che, se avessi vissuto come loro, mi sarei con altissime probabilità comportata molto peggio di loro. Ma quel mio (eventuale) comportamento come il loro (effettivo) andava valutato: pena l’incapacità di distinguere ciò che non dà problemi al prossimo e ciò che, invece, li moltiplica, il bene e il male, insomma.

Sapere che la Munro non è stata una madre sufficientemente buona (vedi Winnicott) conferma che: 

le persone sono impastate di ombre e di luce;

le donne non sono migliori degli uomini e le madri non sempre proteggono i figli;

un libro può essere eccelso anche se chi l’ha scritto fosse ben poco raccomandabile;

sui piedistalli non sono in tanti a reggere a lungo.

Non essendo io un genio della letteratura non è un rischio che corro, ma mi chiedo: nel caso le due cose non riuscissero a convivere, preferirei scrivere un libro immortale o vivere secondo sincera e buona moralità?